Cosa cambia se noi cambiamo... parte 2


Tempo fa mi chiedevo cosa sarebbe cambiato nel mio modo di fare arte, se avessi deciso di cambiare me stessa.
La risposta ha richiesto mesi di lavoro, ma alla fine è arrivata (sebbene agevolata dal suggerimento di un amico che riesce a vedere le cose più chiaramente di me).
Io sto già cambiando.Da molto tempo.
Solo che il processo è talmente lento e costante che non me ne accorgo.
Bisogna aver fatto tanta strada per potersi voltare indietro e non vedere più il punto di partenza. Se ti volti prima, ciò che eri sarà ancora lì e tu non capirai quanto hai fatto.
Ricorderai gli ostacoli che hai superato, le fatiche, i verdi prati e gli sconfinati orizzonti al tramonto, ma ti sembrerà di non aver ancora combinato abbastanza. 
La verità è, che durante questo lunghissimo cammino, io ho tenuto stretto e ben saldo fra le mani il filo di Arianna. 
Mi sono assicurata, inconsciamente, di non perdere il contatto con il dolore da cui fuggivo. Volevo strappare un guinzaglio troppo corto, ma me ne sono creata uno più morbido e molto più lungo, che perpetrasse all'infinito quella certezza di essere sbagliata che era l'unica certezza che avevo. E il gomitolo di Arianna si attorcigliava attorno a me come le bende delle mie mummie. Ad ogni passo ho trovato più libertà e più consapevolezza, ma solo ora mi accorgo del filo che ho in mano.
In ogni istante del mio cammino ho detto a me stessa " devi fare di meglio, devi camminare di più, non è così che devi camminare, se fossi diversa saresti più svelta, se fossi come dovresti...se fossi...non sei... non fai... ". Credevo di motivarmi, ma in realtà mi stringeva il filo addosso, provocandomi ansia e timore di me. Il guinzaglio avevo imparato a tenerlo meglio (o dovrei dire peggio) di chi teneva il precedente.
E il guinzaglio era quello dell'ipercriticità, del vedere ciò che va ancora modificato, senza lavorare su ciò che di buono IO sono.
Quel guinzaglio del "tu non sei come devi essere" era l'unico vero errore. Ognuno di noi è unico ed è se stesso. Questo è ovvio quando guardo gli altri. Se amo qualcuno è proprio per la sua unicità. I "difetti" ai miei occhi sono "caratteristiche" di quel qualcuno. Perché ciò non dovrebbe andar bene per me?
Perché a me l'amore è stato dimostrato così. "Ti mo è quindi cerco di insegnarti ad essere come dovresti essere per me". E l'amore che ho ricevuto è stato un mare di privazioni emotive. Quando sono riuscita a tagliare il guinzaglio delle privazioni degli altri, mi sono creata il guinzaglio delle privazioni autoinferte. "Mi amo e siccome mi amo ora cerco di insegnarmi come dovrei essere per essere ME"... ok, ma come cerco di insegnarmelo? Con lo stesso orribile metodo.
Arrivata a questo punto del cammino mi volto indietro e vedo il mio filo che stona col resto. Il punto di partenza è scomparso. Indietro ci sono gli ostacoli e gli splendidi paesaggi. Attorno a me ci sono il Fiume, le nuvole, il sole, i campi, la libertà, l'amore... e poi ci sono io. Di troppo rimane solo quel filo.
No, non devo cambiare. Non si tratta di cambiare, ma di ritrovare chi ero prima del guinzaglio. Quel qualcuno che sono ancora e che solo io continuo a non vedere perchè avvolto nel bozzolo della ricerca spasmodica dell'errore.
Come si fa? Non è difficile, ora che la distanza è stata percorsa. Basta che ogni volta che l'abitudine mi porta a pensar male di me, o ad incolparmi per giustificare il mondo, io pensi all'equivalente che sono di buono. Così, ad ogni "tu non sei", "dovresti", "devi", ci sarà un "io sono", "io sto facendo", "io faccio"... "io mi concedo". E il filo ogni volta si sfilaccia un po' di più. E piano piano, col mio passo lento ma costante, io cammino. E mi perdono. Ho i piedi nell'arte, nel cuore l'amore e Laura con me.

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