Parole a caso

Non so perché scrivo qui. Forse perché lo facevi tu. Non è da me e non mi fa neanche bene.

Alla morte non si sa mai come si reagisce.
Quando è mancato papà mi sono negata il dolore. Quando è mancata l’amica a cui volevo più bene ho creduto che sarei morta anch’io.
Domenica mattina ho saputo che eri sparito anche tu e fino a stamattina ho cercato (più o meno inconsciamente) di convincermi che non fosse successo.
Bugie che hanno gambe corte come quelle di un bassotto nano che cammina sulla panza.
Ci ho provato a limitare i danni, o a ritardare l’in
evitabile il più possibile. Avrei voluto stare in compagnia, parlare di te, parlare di qualcosa con qualcuno. Quando si soffre si vorrebbe stare in compagnia di chi soffre come noi ed insieme sostenerci. Ma stavolta non mi è stato possibile. E così ho provato a star da sola, a scherzare con qualche post idiota su face book, a concentrarmi sul lavoro fingendo che mi renda felice. Ma non ha funzionato.
Non è facile aver il diritto di voler bene a qualcuno che è diventato un personaggio pubblico, che è di tutti, e che è per tutti qualcosa di diverso.  
Vorrei vederti come un vanitoso, spocchioso deficiente che si spacciava per artista. Non ci riuscirei mai. Ma aiuterebbe. Credo.
E invece vedo il silenzio, umile e composto, dei tuoi familiari e dei tuoi amici più prossimi. Il silenzio del dolore di chi ti sta dividendo col mondo e ti vorrebbe per sé. E questo mi fa più male di tutto. Il muto dolore di chi amava Luigi ed Evandro insieme, racchiusi in quell’unico omone.
Ti ricordi quando ti ho detto che stavo lavorando ad un tuo ritratto ma che non te lo davo perché non mi piaceva? Mi hai risposto di dartelo comunque. Mi son riproposta di finirlo e di portartelo… ma non l’ho fatto… e non potrò più farlo. Lo terrò con me, nel cassetto dov’è sempre stato.
Sai perché non mi piaceva? Perché non ci vedevo te, li dentro. Ci vedevo solo la brutta copia di una bella foto di Evandro, e probabilmente questo è, e nulla più. La verità è che, ora che non ci sei più, capisco che a non piacermi non era il ritratto in se stesso, ma ciò che ritraeva.
Non era quella la tua espressione, non era il tuo sorriso, non era quel fastidioso burlone con la battuta al momento sbagliato che camminava in mezzo al negozio con fare pettoruto e sornione. Non era nemmeno l’Evandro che suonava, cantava e recitava quelle poesie così intime da chiedersi come facesse a condividerle col mondo. Era solo il ritratto di una bella posa.
 Sai, a me piaceva tenere per me l’immagine che avevo di te. Non mi piaceva (e non mi piace tutt’ora) il carrozzone che ti si era creato attorno. Non quello dei fantastici artisti con cui collaboravi, no, loro li sceglievi col cuore. Parlo delle persone che avevano a che fare con l’artista al di fuori della sua arte. Quelli che ti trattavano come un prodotto. Ma immagino che siano i normali effetti collaterali dell’essere un personaggio pubblico… e poi si sa… il paese è piccolo e la gente è quella che è.
Ma perché ti scrivo qui tutte ste cose? Tu non le leggerai, non te le racconteranno (magari rivisitandole come piace a loro), non è nemmeno utile a me stessa farlo. A che pro sbandierare ai quattro venti ciò che ho dentro? Normalmente lascio che un disegno parli per me e me ne sto chiusa nella mia cantina, ben protetta dal mondo. Non lo so, sarà perché fa male. Fa più male di quanto pensassi, rendersi conto che davvero non ci sei più. E allora le mani vanno sulla tastiera e il cervello va in pappa.
Cazzo, non è il poeta a mancarmi. Le tue poesie le ho qui, a casa, e le posso rileggere quando mi pare. La tua arte rimane. I video degli spettacoli, i tuoi post su face book, le foto, i ricordi della gente che ti terrà sempre vivo a modo proprio e farà in modo che mai nessuno ti dimentichi.
No, a mancarmi è Luigi. Sto testone. Quello che quando gli dicevi “non sono capace, non l’ho mai fatto” ti rispondeva “tu fallo, te lo dico io che ci riesci”… e poi finiva per accettare delle schifezze una volta su tre. Quello che alla mia mostra non ci è venuto, ma si è presentato comunque con ore di anticipo a tenermi calma e far quattro chiacchiere lontano dalla gente. Quello che in negozio era onesto come non ce ne sono più e invece che venderti una cosa nuova ti dava un buon contatto per aggiustare quella vecchia. Quello che perdeva per strada le buone maniere e ti veniva voglia di dirlo a sua mamma… ma anche quello che cercavi ogni volta che non lo trovavi in mezzo ai frigoriferi. Manca quello che scriveva le poesie, che le recitava come si deve. Quello lunatico, mannaggia a te. Ora allegro e compagnone e ora “in busa” che si rintanava come Mina, ora “uno di noi” e ora primadonna.
Io non lo so perché mi stessi simpatico. Fatto sta che mi sei sempre piaciuto, fin da quando ero piccola e venivo in negozio con la mamma.
Mi sei stato ancora più simpatico quando ti sei trasformato in Evandro, perché avevi il coraggio di mostrare l’altro lato di te malgrado l’immagine che tutti ormai avevamo.
E poi ti ho conosciuto meglio, quando è stato il momento.
E passavi dall’essere Luigi all’essere Evandro e ritorno mandandomi in tilt. Passavo in negozio e prima di parlare ti osservavo per capire con chi stavo per parlare.
Non so perché ti scrivo qui. Non serve a niente.
Non verrò nemmeno al tuo funerale, non mi va di scoprire che qualcuno lo ha trasformato in un evento mondano, nel tuo ultimo spettacolo. Magari tu ne saresti felice, magari no. Rimarrò qui, con ciò che resta dei ricordi e con questo mezzo ritratto brutto e incompleto che non ti ho più dato e non ti potrò più dare.
E penso che è ingiusto che te ne sia andato così presto, ma che in fin dei conti sei rimasto qui qualche anno in più…
Grazie per aver lasciato uscire Evandro. Grazie per averlo condiviso con tutti. Grazie per aver regalato a tutti noi quella parte così intima di te, la tua anima. Grazie per averci lasciato tonnellate di ricordi. Grazie per essere uscito dal negozio ed essere salito su un palco. Grazie per la fiducia che hai dato alla gente. Grazie per ogni volta che non hai ricevuto un grazie, che non lo hai chiesto, ma che lo hai comunque regalato. Grazie per aver resistito fino ad oggi. Grazie per l’esempio che hai dato. Grazie per esser stato la nostra Madame Michelle (non mi viene un paragone maschile, ma credo che Madame Michelle fosse pelosa, se ti consola).
Ora basta. Torno in cantina. Li sarò più al sicuro. E parlare con te senza che tutti lo leggano sarà forse più folle, ma più normale.
Buona notte Luigi Digito. Fanculo, la prossima volta che devi morire almeno avverti!



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